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Daniele Barbaro (1514 - 1570)

Daniele Matteo Alvise Barbaro nacque a Venezia, l'8 febbraio 1514, in una tra le più influenti dinastie patrizie della città. Figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed Elena Pisani, figlia del banchiere Alvise Pisani e di Cecilia Giustinian, suo fratello fu il diplomatico e ambasciatore Marcantonio Barbaro, e fu nipote dell’umanista Ermolao Barbaro. Daniele rivestì a sua volta importanti cariche tra cui quella di rappresentante della Serenissima presso il Concilio di Trento, di ambasciatore presso la corte di Elisabetta I a Londra, e di patriarca di Aquileia nel ventennio dal 1550 al 1570, anno della sua morte.

Coltivò, affiancandoli alla sua attività di prelato, interessi di filosofia, matematica e ottica. Compì i suoi studi presso l'Università di Padova, ove studiò approfonditamente tali discipline. Tra le sue amicizie si annoverano Andrea Palladio, Torquato Tasso, Pietro Bembo e Paolo Veronese. Tra questi, Palladio realizzò per la sua famiglia la celebre Villa Barbaro a Maser (Treviso), mentre Veronese fece due ritratti di Barbaro, uno dei quali è oggi conservato presso il Museo di Palazzo Pitti a Firenze.

Gli interessi matematici e ottici che emergono dai suoi studi riguardarono in particolare la prospettiva e le sue applicazioni pratiche (ad esempio il problema di come migliorare la resa delle immagini nelle camere oscure utilizzando dei diaframmi).

Due furono le sue opere più importanti: un trattato, destinato principalmente a pittori e architetti, anche se di carattere matematico, dal titolo La pratica della perspettiva, pubblicato a Venezia nel 1569. Questo testo fu uno dei più studiati e ammirati nel corso di tutto il XVI secolo, e reca una vasta gamma di illustrazioni funzionali all’esercizio della tecnica prospettica. Va altresì notato che l’opera è basata in ampia parte sulle idee espresse più di un secolo prima da Piero della Francesca nel suo De perspectiva pingendi. L'altra opera importante composta da Barbaro fu il Dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio Pollione, una traduzione dal latino all'italiano del De Architectura dello stesso Vitruvio. Il testo di Barbaro fu pubblicato a Venezia nel 1556 e riproposto in latino, sempre a Venezia, l'anno successivo. E' da ricordare come le illustrazioni di questa opera vennero eseguite dal Palladio. Barbaro, infine, fu anche autore di un trattato, rimasto incompleto e mai pubblicato, sulla costruzione delle meridiane, il De Horologiis describendis libellus (Venezia, Bibl. Marciana, Cod. Lat. VIII, 42, 3097).

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Riferimenti bibliografici:

  • Dizionario biografico degli italiani, Roma, 1964, vol. 6, s.v. 'Barbaro, Daniele', pp. 89-95

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