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Niccolò (Fontana) Tartaglia (1499 - 1557)

Niccolò Fontana, altrimenti noto come Tartaglia, nacque intorno al 1499 a Brescia e morì il 13 dicembre 1557 a Venezia. Il padre morì quando Niccolò aveva soltanto sei anni, lasciando la famiglia in completa povertà. Un altro avvenimento infausto lo colpì all’età di dodici anni: l'esercito francese, deciso a riconquistare Brescia, mise in atto una sanguinosa campagna contro la città e i paesi vicini. Nel corso degli attacchi Niccolò, rifugiatosi con le sorelle e la madre nella cattedrale, fu raggiunto da un soldato francese che lo colpì con la spada, provocandogli una profondissima ferita alla mascella e al palato. Evitò la morte, ma il colpo sofferto lo costrinse per tutta la vita a parlare in maniera estremamente difficoltosa. Proprio per questo gli venne dato il soprannome di Tartaglia, che egli stesso fece suo e utilizzò anche per firmare i propri lavori. Tartaglia fu inizialmente un autodidatta, ma il suo straordinario talento gli consentì di procurarsi un maestro, Ludovico Balbisonio, che lo fece studiare a Padova. Ormai maturato negli studi, Tartaglia decise di tornare a Brescia, ma un pessimo carattere, unito a una smodata coscienza di sé, lo resero impopolare, impedendogli di trovare un lavoro. Per questo si spostò a Verona, dove mise su famiglia e rimase, molto povero, fino al 1534, lavorando come insegnante di matematica. Si spostò quindi a Venezia dove, pur continuando a insegnare in scuole minori, accrebbe la sua fama di matematico di talento, grazie alla partecipazione ad alcuni dibattiti pubblici. La vera svolta ebbe luogo però nel 1534. Da qualche anno circolava voce che fosse stata trovata una regola per risolvere le equazioni di terzo grado. Va ricordato che, nel XV secolo, si faceva distinzione tra vari tipi di equazioni di terzo grado, perché si ammettevano come coefficienti soltanto numeri strettamente positivi. Mosso dalla intenzione di risolvere questo tipo di equazioni, Tartaglia cercò di determinare per esse una tecnica di risoluzione. A questo punto della vicenda entrò in gioco Antonio Maria Fior. Fior era uno studente di Scipione del Ferro (1465-1526), professore dell'Università di Bologna che aveva scoperto per primo, ma senza divulgarla, la tecnica per risolvere un'ampia casistica di equazioni di terzo grado (precisamente, le equazioni del tipo x^3+px=q). In punto di morte, di Ferro aveva rivelato la sua scoperta all'allievo, che si fece quindi una certa fama come esperto nella risoluzione di questo genere di problemi. Per tale ragione, nel 1534, fu organizzata una sfida tra Tartaglia e Fior. I termini della sfida erano semplici: ciascuno dei due matematici avrebbe proposto all'altro trenta problemi, che andavano risolti entro quindici giorni. Chi fosse riuscito a risolverne di più avrebbe vinto la sfida. I trenta problemi di Tartaglia erano di varia natura, e Fior non riuscì a venire a capo di nessuno. Viceversa, Fior mandò a Tartaglia trenta problemi tutti collegati in vario modo con equazioni della forma x^3+px^2=q, nella convinzione che nessuno potesse risolvere equazioni del genere. Tartaglia, tuttavia, avendo già dedicato molto studio al problema, riuscì a scoprire un metodo generale per ridurre queste equazioni a quelle del tipo x^3+px=q le quali anch’egli era in grado di risolvere. Terminò così con estrema facilità (raccontando di esservi riuscito in meno di due ore) i trenta problemi di Fior, risultando quindi indiscusso vincitore della disfida e guadagnandosi una certa reputazione. Notizia del talento e del successo di Tartaglia giunse tra gli altri a Girolamo Cardano. Cardano riteneva, con il sostegno delle affermazioni di Luca Pacioli nella Summa, che soluzioni per queste equazioni fossero impossibili. Fu quindi naturale che si incuriosisse alle voci, riportategli da Giovan da Coi, che Tartaglia aveva trovato un metodo generale per trattarle. Cercò dunque di contattare Tartaglia per farsi spiegare il metodo. Dapprima questi rifiutò, in maniera anche offensiva, poi, invogliato dall'offerta di Cardano di presentarlo a un mecenate, il che avrebbe potuto dare una svolta alla sua vita, accettò di andare a Milano a incontrarlo. Lì giunto, seppur con riluttanza, svelò il suo metodo, esponendolo in forma di poemetto per mantenerlo segreto se fosse caduto in mani sbagliate, con la condizione che Cardano non lo pubblicasse e lo tenesse per sé. A Milano tuttavia non incontrò alcun mecenate, perciò tornò a Venezia cominciando a nutrire un rancore morboso verso Cardano, evidente anche dal carteggio. Cardano mantenne la promessa di tenere segreto il metodo di Tartaglia, ma quando, con il suo studente Ludovico Ferrari, scoprì a Bologna che Ferro, ben prima di Tartaglia, aveva già trovato la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, si decise a pubblicarla, scatenando l’ira di Tartaglia, che gli si scagliò pubblicamente contro il rivale. In difesa del maestro intervenne Ferrari, che invitò Tartaglia a un confronto pubblico nello stile di quello già tenuto con Fior. Tartaglia rifiutò, perché voleva confrontarsi con Cardano e non con Ferrari, sia per motivi di gloria (Cardano era uno degli scienziati più famosi dell'epoca), sia di rancore, ma fu poi convinto ad accettare da una lettera giuntagli da Brescia; in questa si affermava che gli sarebbe stato garantito un posto di lettorato, a patto che lui mostrasse la sua bravura nella sfida con Ferrari. Il confronto, tenutosi il 10 agosto 1548 presso la Chiesa dei Frati Zoccolanti, non ebbe per Tartaglia esito favorevole, al punto che egli decise di fuggire nottetempo per tornare a Brescia, dove rimase per un anno a lavorare, senza ricevere infine alcun pagamento. Ormai povero, tornò a Venezia, dove riprese il lavoro di insegnante e rimase fino alla fine della sua vita. Morì il 13 dicembre 1557. La scoperta del metodo di risoluzione delle equazioni di terzo grado (che porta ora, per appunto, il nome di "formula di Cardano-Tartaglia") non è però l'unico apporto dato alla matematica di Tartaglia. Nel 1537 pubblicò un trattato, la Nova Scientia, che riguardava le applicazioni della matematica ai problemi dell’artiglieria; scrisse anche un testo di aritmetica, stampò edizioni latine delle opere di Archimede (riprese da edizioni tedesche), tradusse gli Elementi di Euclide (1543), e nel 1546 pubblicò Quesiti et Inventioni Diverse, in cui esponeva anche la legge del piano inclinato.

(Seminario di Logica Permanente)

Riferimenti bibliografici:

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